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Archivio di Stato di Pordenone

Andrea Benedetti. Le carte dell'uomo e dello studioso

Intervista a Lia Zigiotti, laureanda dell'Università Ca' Foscari di Venezia

A - Ciao, Lia. Ci racconti chi sei e come sei arrivata in archivio?

Ciao! Mi chiamo Lia Zigiotti, sono nata e vivo a Pordenone. Dopo aver frequentato il liceo classico della mia città, mi sono trasferita a Venezia per studiare all’Università Ca’ Foscari dove mi sono iscritta alla facoltà triennale di lettere moderne, per poi proseguire i miei studi magistrali in biblioteconomia e archivistica. Nel frattempo, ho scoperto l’esistenza delle Scuole di Archivistica, Paleografia e Diplomatica presenti all’interno di alcuni dei più grandi Archivi di Stato italiani: ho scelto quindi di frequentare quella dell’Archivio di Stato di Venezia durante il biennio della facoltà magistrale e ora, avendo concluso gli esami di entrambi i percorsi, sono in attesa di laurearmi. L’Archivio di Pordenone mi ha accettata per svolgere il tirocinio curriculare magistrale dove ho potuto conoscere i fondi archivistici che raccolgono la storia antica e recente della mia provincia, svoltasi fra enti, famiglie nobili e personaggi fortemente devoti alla nostra città. Uno fra questi ultimi, in particolare, mi sta accompagnando in questo ultimo passaggio universitario: la documentazione di Andrea Benedetti, storico vissuto nel Novecento fortemente legato alla città di Pordenone, è infatti protagonista della mia tesi di laurea, che consiste nell’inventario delle sue carte.

A - Come mai la scelta del tuo lavoro di tesi è caduta proprio sul fondo Benedetti?

L - La proposta di una tesi simile risale ancora al periodo di stage  in cui mi è stata fatta la proposta di redigere, come progetto di tesi, un inventario delle carte di questo storico, toccate in anni precedenti da un riordino generico che non aveva però prodotto strumenti di ricerca. Ho deciso di accettare la proposta con entusiasmo, reputandola un’occasione molto formativa e incuriosendomi la storia del Benedetti che tanti studi ha dedicato alla nostra città, pur non essendo pordenonese.

A - Da quando hai iniziato il tuo lavoro sulle carte, eri in Archivio praticamente ogni giorno. Puoi raccontarci come l'emergenza in cui ci troviamo ha impattato sulla tua attività? Ti senti comunque positiva in merito alla situazione?

L - L’emergenza ha influenzato molto concretamente il lavoro che stavo svolgendo. L’inventario è uno strumento di ricerca che consiste nella descrizione fisica e concettuale della documentazione: al momento, non potendo accedere all’Archivio e non potendo quindi vedere le carte, non mi è possibile dunque continuare il lavoro. Nonostante ciò, l’inventario non si limita solo ad una mera descrizione ma è composto anche da parti introduttive che esplicitano le informazioni riportate: ora mi sto dedicando quindi a questa parte discorsiva assieme alla revisione di quanto fatto finora. Per completare l’inventario non mancherebbero ancora molte buste da descrivere, però ci vorranno comunque almeno un altro paio di mesi di lavoro: mi auguro di poter riaccedere all’Archivio il prima possibile (così come mi auguro si possa tornare alla normalità quanto prima, in linea generale) per poter concludere e fornire così uno strumento completo che possa essere messo a disposizione degli utenti interessati alla vita e agli studi del Benedetti. Gli studi non si possono fermare ora, anzi: la situazione attuale ci spinge a porre molta cura e attenzione nei confronti della ricerca, tanto scientifica quanto umanistica: senza l’una non esisterebbe il presente come lo conosciamo oggi, senza l’altra non esisterebbe il passato del domani. È quindi fondamentale restare positivi!

A - Ottimo, Lia. Torniamo al Benedetti. Puoi dirci qualcosa sulla vita di questo famoso personaggio?

L - Andrea Benedetti nacque a Rovigno d’Istria nel 1896: in Istria trascorse la sua infanzia, ma nel 1912, renitente alla leva militare austrica, si rifugiò a Pordenone ospite della famiglia nobile Montereale Mantica, di cui era parente. Nel 1915 si arruolò come volontario irredentista nell’esercito italiano e al termine del conflitto partecipò all’impresa fiumana insieme a Gabriele D’Annunzio. Dopo quest’esperienza, lasciò l’esercito e si laureò in lettere presso l’università di Bologna con una tesi sull’accademia cinquecentesca detta liviana di Pordenone, intraprendendo poi la carriera scolastica a Trieste, Cento, Ferrara, Grosseto, Viterbo e infine a Roma, dove già viveva da anni; andò in pensione nel 1960 dopo 40 anni di insegnamento. Durante il lavoro e nel tempo della pensione si dedicò anima e corpo a studi di araldica giuliana, di storia friulana e in particolare pordenonese, di storia istriana: spesso, durante le vacanze estive, si trasferiva nella località Piandipan a Fiume Veneto (PN) presso la residenza delle contessine Montereale Mantica, dove aveva accesso ai documenti del loro archivio sopravvissuti alle due guerre e già consultati al tempo della sua permanenza durante gli anni ’10. Numerosissime sono le sue pubblicazioni tra monografie e articoli pubblicati sia in riviste di settore che su quotidiani friulani e istriani: degne di nota per la nostra città sono la Storia di Pordenone, ancora oggi punto di riferimento per gli studi su Pordenone, e la fondazione nel 1950 della rivista «Il Noncello», importante punto di riferimento culturale della seconda metà del Novecento per tutta la zona del Friuli Occidentale, di cui fu direttore fino al 1973. Queste e altre pubblicazioni gli fecero ottenere la cittadinanza onoraria di Pordenone nel 1964. Benedetti morì a Piandipan, a Fiume Veneto, nel 1978.

A - Veniamo alle carte...Ci presenti in breve la situazione in cui le hai trovate (come è strutturato il fondo, insomma) e come stai intervenendo?

L - Il fondo archivistico è costituto da 41 faldoni contenenti centinaia di fascicoli, uno scatolone che raccoglie materiale cartaceo e strumenti per la realizzazione di calchi, album da disegno e due schedari. Tale ordine non corrisponde a quello originale del fondo ma è frutto di un precedente riordinamento, fondamentale per il mio lavoro, avvenuto negli anni ’10 del 2000. Infatti sembra che, prima di allora, la documentazione si presentasse in condizioni di disordine tali da rendere impossibile la ricostruzione dell’ordine creato dallo stesso Andrea Benedetti, non permettendone così la consultazione. Quindi l’ordinamento di cui sopra ha avuto il pregio di aver reso intellegibili gli scritti dello studioso suddividendoli in quattro serie: la porzione principale del fondo è costituita dalle bozze delle pubblicazioni e dai materiali di lavoro; molti faldoni sono poi occupati dalla sua corrispondenza scientifica; una serie è formata dalla raccolta degli articoli di giornale che lo studioso ritagliava e conservava; l’ultima parte è dedicata all’araldica, di cui fanno parte calchi e bozzetti. Il mio lavoro quindi è stato quello di ricreare la storia del fondo e di descrivere i documenti contenuti nei faldoni: in particolare, mi sono concentrata sulla serie delle pubblicazioni, rilevando soprattutto i titoli delle bozze e fornendo le indicazioni bibliografiche di quelle pubblicate, e sulla serie della corrispondenza, su cui sto lavorando in maniera analitica registrando per ogni lettera il mittente, la datazione topica e cronica, creando un indice per luogo e corrispondente, permettendo quindi di avere subito in chiaro chi ha avuto rapporti epistolari con Benedetti.

A - Ci hai detto che il Benedetti era legato ad una importante famiglia nobile del pordenonese, i Montereale Mantica. Ci dici qualcosa in più sulla natura del suo rapporto con loro e sulle tracce di questo che hai ritrovato nelle carte?

L - Benedetti era imparentato con la famiglia pordenonese dei Montereale Mantica sia per parte di madre che di padre. La contessa Teresa di Montereale Mantica era infatti sua nonna materna, mentre la sorella di suo papà sposò l’avvocato Pietro di Montereale Mantica. Tali relazioni permisero a Benedetti di essere ospitato per lunghi periodi, soprattutto in estate, presso la loro dimora sita nella località di Piandipan a Fiume Veneto, a pochi chilometri da Pordenone. Benedetti ebbe così il permesso e l’opportunità di studiare le carte del loro grande archivio che copre ben sette secoli di storia, dal XIII al XX secolo, traendo numerose trascrizioni di pergamene e registri di cui si servì per redigere i suoi studi sulla storia della città di Pordenone. Le influenze fra i due archivi sono evidenti quando si sfogliano le carte: se all’interno dei faldoni che conservano l’archivio Montereale Mantica – presente anch’esso in Archivio di Stato di Pordenone e recentemente inventariato – è possibile imbattersi in fogli su cui il Benedetti scriveva le trascrizioni dei documenti e in appunti di vario genere, divenuti ormai parte integrate di quel fondo, nel suo archivio privato spuntano – per fortuna, in pochissima misura! – alcune pergamene e carte provenienti dal Montereale Mantica.
È opportuno segnalare inoltre che nel fondo Benedetti sono conservate non solo carte dell’archivio Montereale Mantica ma anche di quello privato di Stefano Rota, conte della località istriana di Momiano, bibliotecario ed erudito vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento, con la cui famiglia era imparentata quella del Benedetti. Quest’ultimo infatti lavorò anche sul fondo del conte e pubblicò una piccola parte della sua documentazione: gli originali interessati dalle pubblicazioni si trovano, per l’appunto, fra le carte del Benedetti.

A - Sappiamo che gli archivisti finiscono per instaurare un rapporto strettissimo (quasi intimo!) con i personaggi protagonisti o autori delle carte su cui lavorano. Ti viene in mente qualche curiosità, mania o aneddoto relativo al Benedetti che vorresti far conoscere a chi ci legge?

L - Nonostante sia a buon punto del lavoro, ancora non mi capacito di quanto Benedetti scrivesse! Ogni pezzo di carta era buono per appuntare qualcosa: non solo quaderni, rubriche, fogli di riciclo, ma anche biglietti da visita, inviti, buste postali, cartoni avanzati da calendari di anni ormai passati, santini, pezzi di carta strappati, cartoline, fotografie, biglietti di auguri natalizi… Mi piace definirlo affettuosamente come un “grafomane”, perché sembra non potesse fare a meno di appuntare tutte le idee e i riferimenti che gli venivano in mente – o anche indirizzi, nomi, numeri di telefono… – sul primo foglietto disponibile. Un’altra caratteristica che mi sorprende molto è la puntigliosità con cui redigeva i propri lavori: le bozze di un unico scritto possono essere numerose, prima redatte a mano e poi dattiloscritte in più versioni, una totalmente battuta con l’inchiostro nero e l’altra con alcune parti del testo scritte in rosso. Questa precisione è anche evidente negli album di bozzetti di stemmi araldici che disegnava per i propri studi di araldica giuliana: i disegni sono pulitissimi e colorati ad acquerello con una precisione notevole – era, infatti, anche un ottimo disegnatore!

A - Grazie, Lia. Ci rivedremo presto in Archivio. Un grosso in bocca al lupo per la tua tesi!

L - Viva il lupo e speriamo di vederci il prima possibile!

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Ultimo aggiornamento: 29/11/2023