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Archivio di Stato di Pordenone

25 aprile - La resistenza degli IMI: la storia di don Pasa

La locandina della mostra del 2006 dedicata alla figura di don Luigi Pasa.

In pace i figli seppelliscono i padri,
in guerra sono invece i padri a seppellire i figli.

Erodoto
 

Nel 75° anniversario della Liberazione

Nel gennaio 2006, in occasione della presentazione del volume di Adolfo Mignemi, Storia fotografica della prigionia dei militari italiani in Germania, l’Archivio di Stato di Pordenone organizzò una mostra documentaria con l’esposizione di alcune fotografie dell’Archivio Ragogna relative alla figura di don Luigi Pasa (1899-1977), cappellano militare e salesiano del Collegio Don Bosco di viale Grigoletti in Pordenone. [1] 
In occasione del 75° anniversario della Liberazione e all’interno della campagna del MIBACT #iorestoacasa, proponiamo a chi non lo conoscesse, un percorso che introduca alla vita e dell’attività del salesiano; a chi lo conoscesse già, un’occasione per ricordare. 
Ciò che lega la vita di questo sacerdote alle celebrazioni odierne è che egli si fece volontariamente compagno della resistenza messa in atto dai tanti soldati che, a partire dall'8 settembre 1943, furono noti con la sigla IMI, internati militari italiani

Ecco la loro storia e quella di Don Pasa, raccontate con le parole del dott. Angelo Tonizzo e attraverso le fotografie tratte dall'Archivio Ragogna, che oggi rimettiamo in mostra per voi.

Luigi, ragazzo del ‘99

Luigi Francesco Pasa nasce ad Agordo, provincia di Belluno, il 17 marzo 1899. Viene arruolato nel Regio Esercito nell’ultimo anno della Prima Guerra mondiale, un ragazzo del ‘99, e viene mandato in zona di combattimento, nell’artiglieria, raggiungendo il grado di caporale. Partecipa all’impresa di Fiume fra le fila dei Legionari di Gabriele D’Annunzio.
Forse sconcertato da quanto stava accadendo nel lungo primo dopoguerra, si rivolge alla religione e il 7 luglio 1929, a 30 anni d’età, viene ordinato sacerdote nella congregazione salesiana. Tra il 1923 e il 1929 aveva svolto l’attività di insegnante di scuola professionale, venendo a contatto con l’universo giovanile e capendo l’importanza che riveste per i ragazzi una figura autorevole, carismatica, come quella di Giovanni Bosco, fondatore della congregazione.
Sentendo il richiamo della vita militare o condizionato dal clima esuberante dell’Italia alla conquista del suo Impero, nel 1938 si arruola quale cappellano militare ed è assegnato in Africa.
Nel 1941 lo troviamo cappellano militare dell’aeroporto “Pagliano e Gori” di Aviano da dove mantiene assidui contatti con i confratelli salesiani del Collegio Don Bosco di Pordenone.
Ed è in questa situazione che lo coglie l’8 settembre 1943.

 

…l'8 settembre 1943 e i giorni a venire

L’annuncio dell’armistizio che il governo Badoglio, a nome del re Vittorio Emanuele III, stipula con le forze anglo-americane provoca un cataclisma. Le forze armate sono lasciate senza chiari ordini e direttive concrete, i vertici dello Stato si danno ad una indegna fuga raggiungendo i sicuri territori occupati dai nuovi alleati anglo-americani.
Lo stupore e la sorpresa, anche nel campo di aviazione di Aviano, sono totali. Gli unici che non si fanno trovare impreparati sono i tedeschi. Già diffidenti nei confronti dell’alleato italiano, i vertici dell’esercito germanico avevano predisposto un piano per l’occupazione del territorio italiano e per il disarmo completo del Regio Esercito.
Nel giro di pochi giorni sono disarmati e rastrellati circa 800 mila soldati italiani, in tutti i fronti in cui erano presenti, spesso inquadrati tatticamente in grandi unità a comando germanico. Con minacce o con lusinghe di un immediato rientro in patria, furono caricati su lunghi treni formati da carri bestiame e avviati a nord, in Germania, in Polonia, per essere trattenuti in campi di concentramento.
La situazione politica era assai confusa, non si capiva chi fosse belligerante contro chi, e i militari internati non godevano dello status di prigionieri di guerra che secondo le Convenzioni internazionali offre alcune garanzie quali le ispezioni dei campi da parte della Croce Rossa Internazionale, la possibilità di inviare e ricevere posta. La condizione di questi deportati era stata definita IMI, Internati Militari Italiani, Italienische Militär Internierten, e la realtà della loro detenzione era veramente terribile. [2]
Dopo la proclamazione della Repubblica Sociale Italiana, il 23 settembre 1943, esponenti di tale organizzazione giravano per i campi di detenzione chiedendo ai prigionieri, anche con promesse di rientro in Italia e di miglioramento delle condizioni di vita, di aderire alla “nuova Italia”. Pochi furono coloro che risposero positivamente e che decisero di continuare la guerra a fianco dei tedeschi. Tale fermezza era variamente motivata ma indicò sicuramente una volontà di rifiutare la logica del fascismo, costituendo una della prime forme di Resistenza, tra tutte la meno valorizzata, meno studiata, ma che costò sacrifici assai pesanti a coloro che ogni giorno dovevano ribadire i propri propositi tra fame, malattie, morte.
Anche ad Aviano gli avvenimenti prendevano una piega tragica.
Il 12 settembre don Pasa si era recato a Padova per cercare un contatto con i superiori comandi che non si riuscivano a raggiungere telefonicamente, ormai il caos regnava a tutti i livelli. Quello stesso giorno l’aeroporto di Aviano fu occupato dai tedeschi e, nei giorni immediatamente successivi, don Pasa, rientrato ad Aviano, riuscì a sottrarre all’occupante la bandiera e la cassa del suo reparto.
In quei primi giorni ebbe una certa libertà di movimento in considerazione della sua condizione di sacerdote. Quando, il 19 settembre, i tedeschi caricarono tutto il personale dell’aeroporto e tutti gli altri militari rastrellati sui treni per il Reich, don Pasa non era stato né convocato né arrestato. Fu avvisato di quanto stava succedendo e si precipitò alla stazione di Pordenone per condividere la sorte dei suoi commilitoni che erano anche il suo gregge: con l’adesione volontaria alla deportazione divenne uno dei tanti, perdendo agli occhi dei suoi aguzzini quella minima considerazione che gli derivava dalla sua condizione sacerdotale.

Verso i campi: il viaggio e la deportazione. Tappe di un calvario.

Il viaggio in treno fu lungo e penoso. Il primo campo fu lo Stalag X B di Sandbostel (in Germania) dove il 28 settembre, come prassi, furono separati gli ufficiali dai soldati. Questa pratica è comune alla detenzione bellica di tutti gli eserciti e viene utilizzata per destabilizzare ancora di più i soldati prigionieri, privati anche del punto di riferimento costituito dai superiori gerarchici. Don Pasa chiese di andare con i soldati, sapendoli più giovani, più deboli, meno preparati culturalmente, ma ottenne un rifiuto in quanto, cappellano militare, assimilato al grado di tenente.
In questo campo, dopo aver rifiutato l’adesione alla Repubblica Sociale Italiana, cominciò la sua opera in favore dei suoi compagni, cercando anche di celebrare la messa, cosa che gli fu impedita dai tedeschi.
Nel clima di allentamento dei vincoli gerarchici e di abbandono che si registrava anche fra gli ufficiali detenuti, la presenza di un sacerdote era considerata da tutti gli internati molto positivamente, come se finalmente ci fosse qualcuno in grado di prendere le parti dei più deboli. La figura del sacerdote assumeva così un ruolo carismatico, riuscendo anche a mediare con i nuovi “padroni”.
Avuto finalmente il permesso di celebrare, il primo giorno disse 4 messe su un altare da campo avuto da un sacerdote francese, senza riuscire a soddisfare tutte le richieste che aveva avuto. L’intensità di tale partecipazione è testimoniata da tanta memorialistica: nella messa i soldati ritrovavano un pezzo di casa, il ricordo di una vita normale.
Ai primi di ottobre furono ancora trasferiti: il 12, nel campo Offlager 333 di Benjaminowo, in Polonia, il sacerdote viene immatricolato e diventa il n. 4765.
Per la consolazione dei suoi compagni don Pasa cominciò ad organizzare cerimonie religiose, dandosi da fare per la recita del rosario in ogni baracca; organizzò anche gli altri sacerdoti presenti al campo, invitandoli a dimorare nelle baracche assieme agli altri prigionieri e non a radunarsi nella “baracca dei preti”, come succedeva in altri campi.
Non si potrebbero trovare parole più eloquenti e sentite per illustrarne l’opera di quelle che seguono, tratte dal libro Un seme d’oro. Vicende di un internato militare nei lager nazisti, edito a Trento nel 1984, scritto da Tullio Odorizzi, testimone sulla propria pelle di queste atroci vicende: 

Bravissimo questo nostro Salesiano! Sempre in attività. Fervido, aperto, generosamente impulsivo nel suo zelo apostolico, egli cerca tutte le occasioni per invitarci alla preghiera e al raccoglimento. Non passa giorno, letteralmente, che egli non faccia comunicare, durante gli appelli, che il giorno X è la festa del patrono di Y, e sarà celebrata la S. Messa; e così via. […] Un’attività alla quale egli dedica le sue cure più assidue è la raccolta di viveri, medicinali e denaro per i nostri colleghi ricoverati all’infermeria o all’ospedale. A tale scopo coloro che ricevono pacchi da casa sono inevitabilmente presi d’assalto, con discrezione e con garbo, o da lui o dai capi baracca che sono diventati, in questo lavoro, i suoi collaboratori.

Nel febbraio del 1944 don Pasa riuscì a mettersi in contatto con il Nunzio Apostolico a Berlino monsignor Cesare Orsenigo, da cui ottenne di farsi mandare medicinali e generi di conforto per gli internati. Con il beneplacito del Nunzio, don Pasa amministrò la Cresima a molti internati che non l’avevano ricevuta da adolescenti.
Nei vari campi in cui fu trasferito continuò l’opera di sostegno morale e religioso, cercando di mantenere saldi gli animi e contribuendo a rinsaldare la volontà di resistenza alle sirene dell’adesione alla R.S.I. anche quando, in barba ad ogni regola, anche gli ufficiali furono obbligati al lavoro.
 

La liberazione e l’opera diplomatica del salesiano.

La guerra intanto continuava e il 13 aprile 1945, nel campo di Wietzendorf (in Germania) don Pasa e gli altri ufficiali si ritrovarono liberi: i tedeschi se ne erano andati, ormai certi della loro sconfitta. La situazione però non cambiò di molto, dal momento che nessuno si interessò a quei prigionieri. Don Pasa, sollecitato dai suoi compagni di sventura, nei primi giorni di maggio, intraprese un avventuroso viaggio che lo condusse a Bruxelles, poi a Parigi dove incontrò il Nunzio Apostolico monsignor Angelo Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, e l’ambasciatore Giuseppe Saragat, futuro Presidente della Repubblica.
Il 23 maggio giunse a Roma dove in Vaticano illustrò la reale situazione degli internati militari italiani, oscura ai più. Non c’era una conoscenza adeguata della situazione e non si voleva riconoscere la valenza morale e politica che il quotidiano rifiuto all’adesione alla R.S.I. comportava. Si confondevano gli IMI con quanti erano stati mandati o si erano volontariamente offerti quali lavoratori per la Germania, non riconoscendo quindi alcun valore alle sofferenze patite dai tanti soldati nei 20 mesi di prigionia. In ciò si poteva anche cogliere l’eco del discredito che era caduto sul Regio Esercito in conseguenza del vergognoso comportamento dei suoi vertici.
Dal 7 luglio 1945 don Pasa organizzò e guidò quattro diverse missioni per portare assistenza, viveri, indumenti agli internati e per organizzare il loro rientro in Italia.
Quando giunse al suo campo, a Wietzendorf, l’accoglienza ricevuta fu indimenticabile. Ormai erano passati circa due mesi dalla sua partenza e nessuno si aspettava di rivederlo. Arrivò invece con generi di conforto, ma soprattutto con lettere e notizie dei familiari degli internati, portando ancora una volta gioia e consolazione.
L’ultima di tali missioni si concluse il 14 novembre 1945: dopo quella data il sacerdote riprese l’attività e la vita salesiana.
Nel 1949 don Pasa si trasferì in Argentina, rimanendovi due anni al servizio dei tanti emigrati italiani colà residenti. Fu poi al santuario della Madonna Greca di Ravenna e successivamente al Collegio Salesiano di Napoli. Venne trasferito infine a Forlì, dove morì il 27 agosto 1977. Fu sepolto a Rimini e la sua tomba, per sua esplicita volontà, fu contrassegnata da una semplice croce di legno, come le tombe dei suoi morti in Germania.
L’assistenza spirituale e morale che don Pasa svolse durante i venti mesi della detenzione furono certamente un valido supporto ai molti internati, che sopportarono condizioni di vita terribili pur di non cedere alle lusinghe di una adesione al nazi-fascismo, rivelatosi ormai nella sua intrinseca spietatezza.
Questo aspetto della Resistenza, che non è stato ancora analizzato e studiato in tutte le sue implicazioni, costituisce sicuramente un pezzo di storia d’Italia di cui andare fieri.
 
 

 

Bibliografia essenziale su don Pasa

Luigi Pasa, Tappe di un calvario, Napoli, 1969.
Tullio Odorizzi, Un seme d’oro. Vicende di un internato militare nei lager nazisti, Trento, 1984.
Alessandro Ferioli, Quel “Buon compagno di prigionia”. L’opera di Don Luigi Pasa per gli internati militari italiani nei Lager del terzo Reich, in Ricerche Storiche Salesiane, anno XXII, n. 1 gennaio-giugno 2003.

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[1] Don Pasa, che con il conte ebbe una stretta amicizia ai tempi della sua presenza a Pordenone, affidò al Ragogna il manoscritto Tappe di un calvario, trasposizione letteraria del diario di prigionia di don Pasa. L’Archivio Ragogna conserva la serie “Carte di don Luigi Pasa” (1941-1954), a cui si rinvia.

[2] A titolo esemplificativo si rimanda ai volumi di Mario Avagliano e Marco Palmieri, Internati militari italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945 (Einaudi, 2009) e I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz’armi (1943-1945) (Il Mulino, 2020).

 

 

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Ultimo aggiornamento: 29/11/2023