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Archivio di Stato di Pordenone

Le carte della famiglia Montereale Mantica. La parola all'archivista

Intervista alla dott.ssa Gabriella Cruciatti, funzionaria archivista dell'Archivio di Stato di Udine e autrice dell'inventario dell'Archivio Montereale Mantica

Archivio Montereale Mantica. Fascicolo di atti contenziosi riguardanti Giovanni Daniele Mantica. Giovanni Daniele è colui che sposando Lucrezia di Montereale istituì la linea Montereale Mantica.

A - Ciao, Gabriella. Ci racconti chi sei e come sei arrivata in Archivio di Stato di Pordenone?

G - Sono un'archivista e lavoro all'Archivio di Stato di Udine da circa due anni. In precedenza, dopo una pluriennale esperienza presso l'Archivio storico comunale della Spezia, ho alternato l'attività di insegnante di lettere a collaborazioni nel settore archivistico, in particolare con la Soprintendenza archivistica del Friuli Venezia Giulia. L'incontro con l'Archivio di Stato di Pordenone risale all'inizio degli anni Novanta, in occasione di quello che fu il mio primo incarico professionale. Mi ero da poco laureata e l'Amministrazione provinciale di Pordenone mi chiese di redigere l'elenco di consistenza di un corpus di pergamene che aveva acquistato da un collezionista perché fossero messe a disposizione della comunità locale. Sto parlando delle "Pergamene Mantica". In Archivio era già presente all'epoca una raccolta di pergamene della famiglia Montereale Mantica. La scelta più pertinente fu quella di affidare la nuova acquisizione all'Istituto in modo tale che gli studiosi avessero la possibilità di accedere ad entrambe queste importanti fonti per la storia cittadina, tra loro complementari.

A - Hai citato la Soprintendenza archivistica e l'Archivio di Stato. Se i nostri lettori non lo sapessero, ricordiamo loro in breve che entrambi sono uffici periferici del MiBACT, Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, ma hanno competenze diverse. La prima, con competenza regionale (e in alcuni casi, anche sovraregionale) si occupa di vigilare sulla formazione e conservazione di archivi non statali, come quelli dei privati e di altri enti e organizzazioni pubblici, come gli enti locali; l'Archivio di Stato, invece, nasce come luogo di conservazione, valorizzazione e sorveglianza degli archivi degli uffici statali operanti a livello provinciale, anche se spesso ospita anche fondi di provenienza diversa. Tu hai avuto esperienza di entrambe le realtà. Cosa puoi dirci di ciascuna di esse? Quali sono le differenze?

G - Per quanto mi riguarda, la differenza si è posta soprattutto nei termini del rapporto di lavoro: nel primo caso operavo come libera professionista, mentre ora mi colloco a tutti gli effetti nel "sistema" beni culturali. La cosa che ricordo con più piacere del periodo in cui collaboravo con la Soprintendenza regionale è la possibilità di dedicarmi completamente ad un unico archivio, di immergermi totalmente nei documenti, nella storia delle persone e delle vicende che in essi si riflettono, nella ricostruzione dei percorsi fatti dalle carte. Considera, poi, che mi sono occupata in prevalenza di archivi nobiliari e che alcuni di questi sono ancora oggi conservati dagli eredi nelle residenze di famiglia. Una cornice che vivifica il legame tra persone, luoghi e memoria. Così come l'orgoglio dei discendenti nell'esserne i custodi. Questo senso di continuità si perde un pò in altre tipologie di archivi o in quelli separati dal contesto di produzione. L'attività che svolgo adesso in Archivio di Stato è varia, fatta di mansioni prettamente scientifiche ed altre di natura più amministrativa. Tra gli aspetti che apprezzo maggiormente del nuovo lavoro è che comprende una delle fasi più interessanti di quello che è il percorso di tutela e valorizzazione del patrimonio archivistico, cioè il momento in cui le carte si aprono alla ricerca e l'archivista diventa il mediatore tra esse e lo studioso, sia attraverso la consulenza diretta che l'elaborazione di strategie di comunicazione. Altro punto di forza dell'essere entrata nell'amministrazione archivistica è certamente il fatto di essere parte di un gruppo di lavoro che si confronta quotidianamente su problemi e dubbi e progetta insieme soluzioni e iniziative.

A - Ti sei occupata delle carte della famiglia Montereale Mantica e hai avuto modo di conoscere il dott. Lotti. Ci racconti un po' com'era quest'uomo, descritto da tutti come un raffinato intellettuale?

G - Il dott. Lotti era nato a Zoppola nel 1928, da Maria Montereale Mantica e Pietro Lotti. Dopo la laurea a Padova, all'inizio degli anni Sessanta aveva aperto la propria farmacia a Spilimbergo. A questa professione ha dedicato tutto se stesso, divenendo un punto di riferimento per colleghi e clienti. Competenza e capacità di ascolto sono state le cifre distintive del farmacista, ma anche dell'uomo. Ho avuto modo di frequentarlo per diverso tempo e nel mio ricordo il suo essere intellettuale si associa ai termini curiosità e generosità. Tra i suoi interessi occupavano senz'altro il posto d'onore le storie di Pordenone e di Venezia, luoghi che sentiva "suoi" così come Zoppola e Spilmbergo. Ma anche la prima guerra mondiale, passione che sicuramente era cresciuta insieme al suo amore per la montagna. Grande lettore, dotato di incredibile memoria. Le nostre conversazioni prendevano abitualmente avvio da qualche personaggio o fatto documentato in archivio, archivio che lui conosceva benissimo. La sua narrazione completava poi il quadro d'insieme con citazioni di altri documenti o saggi, con dettagli di spazi urbani, di paesaggi rurali e tradizioni. Come sapete, ha investito energie e risorse personali affinché questo patrimonio non andasse disperso, ben consapevole che non si trattasse solo della memoria di famiglia, ma anche della comunità cui apparteneva. Per questo motivo l'individuazione dell'ente a cui affidare il compito di custodirlo e valorizzarlo è stata una scelta a lungo meditata.

A - Puoi dirci qualcosa anche su come hai trovato l'Archivio Montereale Mantica a casa del Lotti? Le carte in che condizione si trovavano?

G - L'Archivio Montereale Mantica nel corso del XX secolo ha subito diverse movimentazioni, in particolare durante le due guerre mondiali, ed è stato oggetto di ricerche che presumibilmente hanno causato spostamenti e ricostruzioni parziali. Quando ho fatto il primo sopralluogo con il responsabile della Soprintendenza il materiale era conservato in grandi scatole di cartone, nella casa di famiglia a Zoppola. Parte dei documenti si presentava riunita in pacchi condizionati con pagine di giornale. Nelle scritte apposte su alcune di queste ho potuto riconoscere la mano di Andrea Benedetti, lo storico di cui vi ha parlato Lia Zigiotti la scorsa settimana. Laddove non ha individuato dei fascicoli originali, Benedetti ha riunito gruppi di carte disordinate indicandone il contenuto prevalente o quello che a suo parere era di maggior rilievo storico.

 

A - Il riordino dell'archivio ha assorbito il tuo impegno scientifico a lungo, ci sembra...Ci racconti un po' le caratteristiche di questo archivio familiare, le difficoltà che hai riscontrato, come hai affrontato questa "impresa" – perché tale ci appare, scorrendo l'inventario che hai prodotto!

G - Si, il termine "impresa" rende bene l'idea. Come ti dicevo, prima del Montereale Mantica avevo fatto esperienza su alcuni archivi nobiliari friulani. Certo, ogni archivio ha delle peculiarità che lo differenziano da altri del medesimo ambito di produzione, ma, con riferimento a quanto già esplorato, avevo idea di quelle che potevano essere le tipologie di documenti e l'organizzazione degli stessi messa in atto da una famiglia come questa, la cui vita si divise tra la gestione dei beni fondiari, l'amministrazione della giurisdizione feudale e l'impegno personale nelle istituzioni civili ed ecclesiastiche della città. Non potendo estrarre tutto il materiale dalle scatole e fare una prima analisi "visiva" per riconoscere le tracce dei precedenti ordinamenti ed individuare nuclei di materiali omogenei, ho dovuto procedere descrivendo ogni singola unità, rimandando i confronti ad una fase successiva. Man mano che il lavoro procedeva è emersa, però, la particolare dimensione del complesso che stavo esaminando: non più, o meglio non solo, un archivio familiare, ma una collezione documentaria frutto di scelte a lungo rimeditate e mai completamente definite, costruita attingendo per la maggior parte alle carte conservate in casa, ma anche ad altre reperite in archivi pubblici e privati.

A - Pietro di Montereale Mantica...a lui hai dedicato un saggio pubblicato negli "Atti dell'Accademia di San Marco" nel 2013 (n. 15). Ci parli di lui e della sua opera di collezionista?

G - Il personaggio cui va riportata questa decisa connotazione del complesso archivistico, che prende forma nella prima metà dell'Ottocento, è Pietro di Montereale Mantica. Pietro nasce nel 1793. È un periodo storico denso di eventi e trasformazioni per l'Europa in genere e per il Friuli in particolare: nel giro di pochi anni cade la Repubblica di Venezia e nei nostri territori si alternano passaggi di truppe francesi e austriache con repentini cambi di governo. Appartenendo al novero delle famiglie notabili della città, i Montereale ospitano in casa ufficiali delle forze occupanti, tant'è che una delle sorelle sposa il capitano francese Pierre Fayard. Lo stesso Pietro deve arruolarsi nell'esercito di Napoleone e affrontare, se pur per poco, la vita militare. Un fatto che vive con grande difficoltà, essendo legatissimo alla famiglia e niente affatto curioso di conoscere il mondo. C'è da dire che da bambino aveva rischiato di morire di vaiolo, una malattia infettiva altamente contagiosa che colpiva in particolare l'età infantile (ricordo che ne fu colpito il giovane Mozart), diventata nella metà del Settecento la malattia endemica più diffusa nel mondo. Il vaiolo lascia fisicamente il segno su Pietro e presumibilmente condiziona l'atteggiamento dei genitori nei suoi confronti. Il ragazzo cresce affiancando il padre nella cura degli affari domestici e da lui eredita l'interesse verso la storia di Pordenone, in particolare la Pordenone dei duchi d'Austria. Nasce così la passione antiquaria - lui stesso si definisce un archeologo dei documenti - che lo porterà a mettere in atto il progetto di un "monumento" documentario alla città. Altri membri della famiglia avevano coltivato la memorialistica, come consuetudine per l'epoca, ma la direzione presa da Pietro va oltre quel tipo di studi. La sua idea è quella di realizzare un corpus documentario articolato con criterio tematico che illustri i molteplici aspetti della storia di Pordenone e del Friuli in genere: istituzioni, personaggi illustri, arte, luoghi etc. L'esperienza acquisita sulle antiche carte negli anni in cui prende forma l'impresa lo rende noto tra i contemporanei. A lui si rivolgono studiosi di storia e genealogia, esponenti di casate gentilizie che devono documentare dinanzi al Governo del Lombardo Veneto i propri titoli, amministrazioni interessate a risalire all'origine di diritti civici. La collaborazione più proficua è senz'altro quella con Giuseppe Valentinelli, direttore della Biblioteca Marciana di Venezia ed autore del Diplomatarium Portusnaonense.

A - Se volessi suggerire agli studiosi dei percorsi di ricerca che l'Archivio Montereale Mantica offre, che cosa proporresti?

G - Oltre alle vicende dei diversi gruppi familiari, senz'altro i due percorsi, a mio parere interconnessi, che riguardano la storia istituzionale di Pordenone nella prima età moderna e l'edizione del Diplomatarium Portusnaonense. Ma sono molteplici gli aspetti della vita comunitaria che possono essere esplorati seguendo le linee tematiche tracciate da Pietro nella sua raccolta. Molto ben documentate nelle serie di atti processuali sono anche le dinamiche relazionali tra i consorti, le comunità della Giurisdizione di Montereale ad essi sottoposte (Barcis, Grizzo, Malnisio, San Leonardo) ed alcuni notabili friulani e veneziani interessati allo sfruttamento del patrimonio dei boschi Caltea e Prescudin ed a quello del torrente Cellina come via fluviale.

A - Ci avviamo alla fine dell'intervista...Puoi raccontarci come l'emergenza in cui ci troviamo ha impattato sulla tua attività? Ti senti comunque positiva in merito alla situazione?

G - Come archivisti certamente non siamo una categoria professionale che "fa la differenza" in una situazione come questa. Quello che possiamo fare è proseguire il nostro lavoro con responsabilità, sfruttando il periodo di chiusura per migliorare gli strumenti ed i servizi a disposizione degli studiosi. I progetti in cantiere che ci tengono impegnati a Udine sono diversi e, comunque, anche in queste settimane, continuiamo a mantenere il contatto con il pubblico attraverso il nostro sito e a garantire la ricerca per corrispondenza. Personalmente mi sento positiva. Da un lato, rispetto all'emergenza contingente, mi supporta la prospettiva storica di chi bazzica quotidianamente le memorie del passato e ha chiara idea delle difficoltà affrontate, e superate, dalle scorse generazioni. Dall'altro, con riferimento al mondo della cultura, rilevo che istituzioni pubbliche e private stanno rispondendo con tantissima energia, sviluppando idee e sinergie che accelerano sempre più verso nuovi paradigmi di condivisione, formazione e svago. Non credo nella digitalizzazione totale ed indiscriminata dei beni culturali - penso che studi e ricerche vadano sostenuti da progettualità mirate e competenze - ma quello che sta succedendo in queste settimane dimostra certo la forza della comunicazione digitale a sostegno della cultura e del patrimonio nazionale.

A - Grazie, Gabriella, cara collega. Ci rivedremo presto in Archivio. Un grosso in bocca al lupo per il tuo lavoro!

G - Grazie a voi!



Ultimo aggiornamento: 29/11/2023